George Grella Jr., Bitches Brew. Il capolavoro di Miles Davis che ha rivoluzionato il jazz, Roma, traduzione di Michele Piumini, Minimum Fax, 2019.
Nessuno faceva ciò che faceva Miles, ovvero sbarazzarsi di uno stile dopo l’altro: e non parliamo di semplici stili, ma di rivoluzioni! Così scrive George Grella in una delle primissime pagine del suo libro, dove le considerazioni iniziali su Bitches Brew si mescolano ai motivi autobiografici che lo hanno portato a studiare Miles Davis.
Grella inizia proponendo un parallelo forte che inserisce Davis nell’alveo della storia dell’Arte novecentesca (con la maiuscola). Il Novecento, però, ha visto emergere un fenomeno inedito: l’artista che, dopo essere stato maestro di un particolare stile e di una particolare visione all’interno di un certo linguaggio espressivo, crea un altro stile capace di mutare storia e direzione di quel linguaggio, e poi lo fa ancora, affermandosi per giunta come capostipite di ogni nuovo stile e lasciandoci capolavori eterni ed esemplari. Basti pensare a Picasso o a Stravinskij. O A Miles, non inferiore ai primi due quanto a risultati artistici. Miles (…)come Picasso e Stravinskij riusciva con la sua arte a raggiungere un pubblico ben più vasto di quello tipicamente associato al suo genere. Ma del resto il suo genere era la musica. La verità è che pittura moderna, musica classica e jazz sono impossibili da immaginare senza Picasso, Stravinskij e Miles. (…) Per i colleghi che li circondavano, la vitalità ininterrotta che scaturiva dai tre artisti era una manna dal cielo. (pp.10-11).
Grella ricostruisce una delle opere principali in un anno straripante di musica come il 1969. In quei mesi infuria il rock più coraggioso, la black music si fa tosta, i giovani affollano i grandi festival all’aperto e Miles, che ha bene in mente il quadro, convoca in studio insieme al produttore-compositore Teo Macero, un gruppo di giovani musicisti destinati a dominare un paio di decenni del jazz successivo: Wayne Shorter, John McLaughlin, Joe Zawinul, Chick Corea. Alcuni di quei solisti provenivano dallo storico secondo quintetto di Davis, del quale Grella scrive: “La musica realizzata da questo gruppo tra il 1965 e il 1968 è il miglior jazz per formazione ridotta della storia, sfuggente, strutturalmente e formalmente radicale, dinamico, intenso, irresistibile”. Una classicità che Miles non avrebbe tollerato a lungo, in fuga verso un nuovo precario equilibrio, instabile come dovrebbe essere sempre l’arte, sospettosa per definizione verso le regole. L’uscita di Bitches Brew portò Miles alle platee giovanili, ma gli causò anche una coda velenosa di polemiche da parte dei critici, che non avevano digerito le raffinatezze in sede di produzione e il nuovo corso musicale intrapreso, fino ad arrivare agli attacchi tardivi di Wynton Marsalis negli anni Ottanta. Il giovane trombettista divenne in breve il guardiano dell’ortodossia che gridava al complotto commerciale e alla “svendita”. Ecco perché quando Miles incontrò Marsalis lo apostrofò così: “ah, ecco il poliziotto!”, (qui Grella riporta un aneddoto già citato da John Szwed in So What). Messi da parte i pruriti dei critici rimane il doppio disco: una splendida copertina e una musica dall’impatto fortissimo, oggi come ieri. “Bitches Brew colma e ingigantisce gli spazi d’ambiguità e gli atteggiamenti ondivaghi della cultura e della storia americana. (…) Se di norma la musica tenta di imbrigliare il tempo in un ordine preciso (….) Bitches Brew si crogiola nel caos della dell’America. E sembra ancora registrato ieri. E’ la musica che prende per mano la cultura americana, la accompagna attraverso la Summer of Love e la porta nella società post-Dog Soldiers di oggi; è la colonna sonora dei Beat, degli Hippie e delle Pantere Nere, un’opera che va oltre la caduta degli ideali e le favole che raccontiamo su noi stessi. Miles miscela blues, jazz, rock e altro ancora per cucinare quel caos ribollente che è il cuore dell’America”. (p.128). La lettura del libro è caldamente consigliata….Cosa dite? Ne volete di più? Allora consideriamo il lavoro di Grella un’agile introduzione e uno stimolo ad approfondire: ci compriamo il box con tutte le versioni alternative i tagli, le prove smuzzicate, i live e quant’altro serva a creare un cofanetto costoso e da collezionismo, ci posizioniamo nei pressi dello stereo con poltrona & pipa e apriamo il poderoso manuale di Enrico Merlin e Veniero Rizzardi: Bitches Brew. Genesi del capolavoro di Miles Davis (Saggiatore, 2009) . Qui il lavoro di Davis/Macero viene vivisezionato con precisione e molti dei concetti accarezzati da Grella vengono esplosi da Merlin e Rizzardi in tutta la loro potenzialità.