Gli uragani blues di James Lee Burke

James Lee Burke, Gesù dell’uragano e altre storie, (Jimenez, 2022)

Dimenticatevi per un attimo la lunga saga del poliziotto Dave Robicheaux ambientata a New Orleans e in Louisiana. Dimenticate anche l’epopea texana degli Holland, tra avvocati e sceriffi. Pensate all’autore di entrambe, James Lee Burke, non come a uno scrittore di successo ma come al cantore della Gulf Coast; la lunghissima fascia costiera che compiendo un arco sul Golfo del Messico tocca cinque stati del sud: Texas, Louisiana, Mississippi, Alabama, Florida. Questi luoghi rappresentano una bella fetta di immaginario americano e James Lee Burke nei racconti di questo volume ci sguazza meglio che se si trovasse nelle paludi del Bayou. Ci sono i canyon deserti, i tipi asociali, i bar squallidi, i motociclisti-teppisti, le distese dove trionfa la solitudine e dove spesso alligna il male. Maniaci sessuali, biker senza cervello, mafiosi, reduci da Corea e Vietnam, violenti di ogni genere. Poi ci sono temi che sono altrettanto forti ma meno usuali: alcuni racconti sono ambientati sulle torri petrolifere che punteggiano il golfo, posti dove vivere e lavorare è difficile e per questo forse raccolgono un’umanità sfortunata. Ci avviciniamo al cuore del libro e alla sua musica interna, che ovviamente non può che essere un misto di musica nera del sud, blues, gospel, rock’n’roll. Burke ha sempre avuto orecchio ma qui la musica smette di essere solo colore. Un racconto, intitolato La notte in cui Johnny Ace morì, parte dalla sfortunata vita di questo artista R&B che si tolse la vita durante una sorta di tragica roulette russa proprio mentre la sua carriera stava decollando e il rock’n’roll si trovava allo stato nascente. Johnny l’asso, giovane, belloccio e artisticamente dotato, possedeva tutte le caratteristiche per diventare la prima star nera della nuova musica ma invece scalò le classifiche da morto con un album postumo. Per capire il tenore del racconto ecco mezza paginetta: “Un nero di Jennings, Louisiana, fece un disco R&B che vendette milioni di copie e gli portò in tasca venticinque dollari. Persino il greaser versava al suo manager il cinquantuno per cento dei suoi guadagni. Se ti mettevi nei guai con la gente sbagliata, ti ritrovavi con una chitarra bottleneck a un angolo di strada oppure ti cavavano gli occhi e finivi nei Five Blind Boys. Nel nostro caso, la persona sbagliata era Cool Daddy Hopkins, un mulatto di un metro e ottanta che indossava completi a tre pezzi e un fedora giallo e sfregiava i cerini col pollice per accendere le sue sigarette Picayune. Non solo si portava dietro una derringer nichelata col manico in madreperla, ma l’aveva usata anche per sparare a un bianco nel Mississippi, uccidendolo, e non fu nemmeno linciato né perseguito. Quelli del Nord hanno sempre pensato che il Sud fosse segregato. Sbagliato. Il denaro era denaro, il sesso era sesso, la musica era musica, e il colore non aveva niente a che fare con tutto questo”. Ecco perpetuato ancora una volta il mito del sud degli States, con la loro musica strisciante tra tonnellate di razzismo e qui in particolare dalla devastante presenza degli uragani, da Audrey

(del 1957) al macabro Katrina (2005). Il racconto Gesù dell’uragano è una descrizione capolavoro di New Orleans che ha due perni: il jazz e il ciclone tropicale. Partiamo dall’incipit. La città viene chiamata The Big Sleazy, la grande squallida, il rovescio turpe del luminoso, pruriginoso e libertino nomignolo The Big Easy. Era stato il romanzo poliziesco The Big Easy (1970) di James Conaway a dare celebrità al nomignolo della città, un ironico contraltare alla Big Apple. Qui la vita è rilassata, non come a New York. Potremmo usare Sorrentino e tradurre: “La grande facilità”. Invece come capita spesso l’American dream diventa un incubo ed è un altro scrittore, questa volta Burke a ripetere spesso, nei romanzi del poliziotto Robicheaux l’appellativo al negatito. New Orleans è “The big sleazy”. Così si inizia.

“Sono cresciuto a Big Sleazy, a Uptown, appena fuori Magazine Street, tra querce, gangster, musicisti e una bouganville che i fratelli Cristiani dicevano fosse stata messa lì per ricordarci il sangue di Cristo nell’orto del Getsemani. I miei migliori amici erano Tony e Miles Cardo. La loro madre si guadagnava da vivere lavando i capelli ai cadaveri in una camera mortuaria sulla Tchoupitoulas”.

Dicevamo che la storia è jazz, infatti subito entrano in scena i due protagonisti. L’io narrante e il suo amico Miles. Uno suona la batteria e l’altro il sassofono. Amano la loro New Orleans e ne rimpiangono il passato mitico, fatto soprattutto di musica.

“Ma la città era un bel posto. Avete mai passeggiato su Jackson Square di primo mattino, quando il cielo è rosa e si sente l’odore di sale nel vento e di caffè e dolci del Café du Monde? Miles e io ce la facevamo con Louis Prima e Sam Butera. Mica cazzi, eh”.

Più avanti compaiono alcune glorie della storia del jazz della città come Kid Ory, King Oliver, Bunk Johnson, iniziatori dello stile poi noto per l’appunto come New Orleans, e altri grandi dei tempi che furono come Flip Phillips e Jo Jones, insieme alle orchestre nere alla Preservation Hall e ai musicisti da strada. Poi arriva l’uragano e qui la storia prende una piega diversa…Un bel libro, con un Burke che trascende il genere crime per seguire le sirene della “vera” letteratura.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.